Elaborare il lutto di chi ha abortito: affronta un tipo di sofferenza di cui quasi mai si parla il saggio Dare un nome al dolore , di Benedetta Foà (Effatà editrice, 192 pagine, 13 euro).
A tracciare i confini della questione provvedono tre questioni sollevate in prefazione da Tonino Cantelmi , presidente e fondatore dell’ Associazione psichiatri e psicologi cattolici .
Cantelmi afferma che l’interruzione volontaria della gravidanza è un fattore di rischio per la salute mentale della donna (dell’81% in più rispetto a chi non ha abortito); che l’esperienza abortiva, in tutte le sue forme, è traumatizzante; e che è doveroso aiutare le donne che presentano un disagio psichico correlato all’aborto.
Di qui parte il cammino di Benedetta Foà, psicologa clinica e counselor con la Procedura Immaginativa®.
Inizia col raccontare tre casi di mamme mancate , poi entra nel dettaglio dello , con una particolare attenzione a quel circolo vizioso che si instaura tra abuso e aborto.
L’autrice prosegue segnalando la necessità di elaborare il lutto anche in seguito a un aborto. Qui si pone in evidenza la differenza che esiste tra il lutto “normale”, legato alla scomparsa di una persona cara, e l’assai più complesso lutto melanconico , legato a una entità non conosciuta. Il secondo tipo di lutto può evolvere in depressione quando la donna si identifica col feto, fino a bloccare le proprie energie psichiche e focalizzarle sulla perdita del figlio.
Entrando nel dettaglio, poi, Benedetta Foà illustra le molteplici conseguenze del post-aborto. Tra esse, un aumento del 30% del rischio di contrarre un tumore al seno, che è il tipo di tumore più diffuso tra le donne d’oggi.
Inoltre analizza le situazioni di altre figure: i fratelli dei bambini abortiti (per i quali è possibile la sindrome del sopravvissuto ) e i compagni o mariti di donne che hanno abortito.
Il dolore causato da un aborto si può elaborare? La risposta è positiva, a patto di farsi aiutare nel percorrere un itinerario centrato sul bambino che non è nato . Ed è qui che interviene l’ Esperienza Immaginativa : un tipo di psicoterapia basata sulla relazione terapeuta-paziente, per recuperare la soggettività del paziente che, all’inizio del trattamento, presenta un malessere per il quale chiede aiuto.
Benedetta Foà fissa alcune tappe: dare un nome al bambino, scegliere un oggetto con cui identificarlo, scrivergli una lettera, immaginare l’incontro col bambino che non è nato, seppellire l’oggetto-simbolo, ed eventualmente compiere riti di passaggio (per esempio far celebrare una messa in suffragio) o atti riparatori (come l’impegno nella solidarietà, sul fronte del diritto alla vita).