Sul New York Times, a margine del dramma del volo MH17
Il 21 luglio il New York Times ha pubblicato una riflessione dello scrittore olandese Arnon Grunberg . Affronta il tema dell’ elaborazione collettiva del lutto , in particolare nei Paesi Bassi cui appartenevano 193 dei 298 passeggeri del volo MH17 abbattuto giovedì 17 luglio nell’est dell’Ucraina mentre da Amsterdam stava volando verso Kuala Lumpur (www.nytimes.com).
Sebbene Grunberg focalizzi la sua analisi sulla situazione del suo Paese, molte sue considerazioni sono di portata generale, e aiutano a riflettere sui meccanismi con cui la collettività risponde ad eventi luttuosi di particolare impatto mediatico, sia per il numero delle persone coinvolte sia per la particolarità dell’evento.
Una nazione che era ancora in festa per il terzo posto della squadra arancione ai campionati mondiali di calcio in Brasile, di colpo è precipitata nel lutto “obbligatorio”. “Ognuno di noi conosceva qualcuno di loro”, ha titolato il quotidiano NRC Handelsblad, che di norma non eccede in sensazionalismi.
Un atteggiamento, invece, cui non ha fatto concessioni il nuovo re Guglielmo Alessandro , che ha presentato le proprie condoglianze alle famiglie delle vittime ma ha saggiamente fermato sul nascere la richiesta di una giornata di lutto nazionale.
Grunberg segnala che, nel suo Paese, il nazionalismo è stato considerato un sentimento antiquato almeno dalla fine della Seconda guerra mondiale all’inizio del Duemila. Ma molto è cambiato da quando, nel 2004, il regista Theo van Gogh venne assassinato dal figlio di immigrati marocchini. I nuovi arrivati, specie se musulmani, vennero accusati di scarso patriottismo o, addirittura, di essere avanguardie in una operazione che mirerebbe a trasformare il regno olandese in un califfato.
Alimentate dei nuovi media, le emozioni hanno iniziato a essere ampiamente esibite in pubblico. E su chi si rifiuta di farlo cala il sospetto di avere qualche problema psicologico.
Ma, considerando la tragedia del volo MH17, è logico mostrare un maggior lutto verso i propri compatrioti, o non è meglio comprendervi la totalità delle vittime? Tanto più che gli olandesi morti nel disastro non sono stati uccisi a causa della loro nazionalità: a quanto sembra, per di più, il velivolo è stato abbattuto per errore.
Di conseguenza, la catastrofe aerea così come la vittoria calcistica sembrano strumenti per promuovere l’identità collettiva, per affermare l’esistenza del Regno olandese, per sentirsi parte di una collettività.
Grunberg completa la sua analisi osservando che il lutto “coinvolge dei sentimenti estremamente personali, cosa che lo rende non condivisibile. Le persone hanno il diritto di non mostrare i propri sentimenti e di non condividerli, anche quando si tratta di una partita dei Mondiali o di una strage. Da questo, ne consegue che ciascuno ha il diritto di ammettere che a volte non proviamo nessun sentimento. Il mondo intero cerca invece di appropriarsi delle nostre emozioni, dalla signora della porta accanto ai propri famigliari, passando per il mendicante di strada per arrivare alle notizie da Gaza e dall’Ucraina, dal Congo e dalla Siria. I nostri sentimenti vengono costantemente sollecitati”.
Ma il fatto che un certo numero di persone dimostri una sorta di indifferenza nei confronti di eventi che sollevano emozioni collettive è, secondo Grunberg, un segnale di umanità e non il suo contrario: “Se permettessimo a tutta la sofferenza del mondo in possederci, diventeremmo presto dei casi psichiatrici, cullati da farmaci psicotropi verso uno stato di apatico distacco”.
Il lutto collettivo contiene in sé una fuga dalla solitudine (come non pensare all’abbraccio della “gente comune” quando c’è il funerale di una celebrità?), ma spesso il “noi” può venire strumentalizzato, implicando la definizione di un “loro” che rapidamente si può trasformare in un nemico da sconfiggere.
Date queste premesse, così conclude Grunberg riferendosi alla tragedia dell’aereo abbattuto: “Riconosco la tragedia, riconosco il tuo lutto, ma non riesco ad unirmi a te, non oggi: non è giornata. E reciprocamente, quando sarà il mio turno di compiangere qualcuno, non ti obbligherò a farlo accanto a me”.