Tutti hanno presente la fontana di Trevi , a Roma : la fontana più famosa al mondo. Ma, con la faccia alla fontana, alle spalle sulla destra c'è la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in Trevi che, nella colorita parlata romanesca, è anche nota come chiesa delle frattaje . Perché questa curiosa denominazione?
Perché in essa sono conservati i precordi (cioè gli organi interni) dei papi . Per circa quattro secoli, infatti, i pontefici vennero imbalsamati prima di essere seppelliti nella basilica di San Pietro: il procedimento prevedeva la rimozione dal corpo degli organi più soggetti a decomposizione. Cuori, fegati, intestini e altro di volta in volta venivano deposti in contenitori sigillati , da conservare nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio.
Questa pratica s'interruppe solo nel 1900, con Pio X : in una cappella sotto l'altar maggiore, purtroppo non visitabile, ci sono i resti di ben 23 pontefici , da Sisto V (fine del '500) a Leone XIII (inizi del '900).
Questa macabra caratteristica dell'edificio ha sempre colpito i romani, e ha ispirato al poeta Gioacchino Belli la poesia San Vincenz'e Satanasio a Trevi :
Tu tte sbajji: nun è in una cappella,
È ppropiamente su a l'artar maggiore.
Lí stanno li precòrdichi, Pacchiella,
D'oggni Sommo Pontescife che mmore.
Che mme bburli? te pare poco onore?
Drent'una cchiesa er corpo in barzamella,
E ddrent'un'antra li pormoni, er core,
Er fedigo, la mirza e le bbudella!
Morto un Papa, sparato e sprufumato,
L'interiori santissimi in vettina
Se conzeggneno in mano der curato.
E llui co li su' bboni fratiscelli
L'alloca in una spesce de cantina
Ch'è un museo de corate e de sciorcelli.
La chiesa fu ricostruita da Martino Longhi il Giovane tra il 1644 e il 1650 per il cardinale Giulio Mazzarino su una preesistente struttura del Trecento: la facciata barocca, sovraccarica di ben 18 colonne, le ha meritato un altro soprannome da parte dei romani: il Canneto .
Collegato alla chiesa c'è anche un mistero : riguarda la tomba dell'incisore e pittore Bartolomeo Pinelli . Artista fertilissimo illustro grandi classici della letteratura ma ritrasse con dovizia la vita popolare romana: si stima che abbia prodotto circa quattromila incisioni e diecimila disegni. Nonostante i guadagni molto alti Pinelli fu oppresso dai debiti per tutta la vita. Morì in povertà nel 1835 e il suo funerale, pagato da ammiratori e amici artisti, si svolse nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio: qui l'artista fu seppellito. Ma il corpo dove finì, dal momento che in chiesa non ci sono né lapidi né altre testimonianze? Il dubbio è che la salma sia stata rimossa: Pinelli non era un fedele devoto e, anzi, era stato colpito da interdetto perché non osservava il precetto pasquale. Ricerche svolte nel 1927 non portarono alla scoperta della tomba: in seguito, a cura dell'Istituto di Studi Romani, in chiesa fu collocata una lapide in sua memoria.