Si intitola Lo Spoon River al tempo del Covid , ed è un libro a cura delle edizioni Araberara (www.araberara.it), società editrice con sede a Clusone che si occupa di informazione nella Bergamasca con una rivista a uscita quindicinale.
E' una raccolta di testimonianze (per riceverlo tel. 0346-25949; si chiede un'offerta per coprire il costo di stampa). A differenza dall' Antologia di Spoon River , di Edgar Lee Masters, dove sono i morti a parlare, qui sono i vivi a farlo per loro.
«Tutto è iniziato quando un signore si è rivolto a noi per ricordare la moglie, morta di Covid – spiega il direttore Piero Bonicelli – Quanto costa?, ci ha chiesto. Niente, abbiamo risposto. E poi abbiamo pubblicato un avviso per informare che chiunque avesse voluto avrebbe potuto avere questa opportunità per rendere omaggio al proprio caro: bastava che ci inviassero una fotografia e un ricordo scritto senza limiti di spazio e senza costi».
Il problema, infatti, era come poter ricordare i defunti, che in quelle settimane erano molti e non venivano celebrati i funerali: «La tragedia è che, una volta portati via dall'ambulanza, i propri congiunti non si potevano più vedere. Se ne andavano senza ricevere l'ultimo saluto e la vicinanza dei propri cari, a casa tornavano solamente le ceneri».
Ad Araberara si sono messi a raccogliere quelle che una volta si chiamavano memorie : «Come facevano i nostri vecchi, che collocavano la foto o il santino dei propri defunti sui vetri delle credenze, i mobili che si trovavano nelle cucine: sono gli scritti di chi voleva bene a queste persone e vuole ricordarle».
La risposta è stata oltre ogni previsione: «Sono pervenuti centinaia di ricordi: abbiamo cominciato il 28 marzo pubblicando 28 pagine di giornale e continuato nelle uscite successive con 10-15 pagine ogni volta. Considerando la notevole mole, abbiamo pensato di raccoglierli realizzando un libro e così è nata Lo Spoon River al tempo del Covid».
Il libro si apre con una serie di interventi, tra cui quello del vescovo di Bergamo mons. Francesco Beschi : «Non sono solo ricordi: in queste pagine è raccolta un'eredità spirituale, che non possiamo trascurare, piuttosto coltivare facendone un'eredità morale. Il ricordo fecondo che genera vita è quello che brucia i rancori e non si lascia bruciare dal rancore; è quello che coltiva i germogli che ogni esistenza consegna al suo prossimo. Se non faremo così, il torto non sarà a loro, ma a noi stessi».
Poi il testo prosegue col ricordo dei sacerdoti e dei religiosi morti: la diocesi di Bergamo è stata la più colpita. Quindi lo spazio è tutto per la gente comune, che "comune" non è mai perché ognuno ha vissuto storie, esperienze, fatiche, ha amato e lottato. Come esempio citeremo qualche testimonianza .
«Nella "lingua alpina" questi nostri amici sono "andati avanti" – scrive un gruppo di alpini ricordando i commilitoni scomparsi - Nel nostro cuore invece saranno sempre presenti e in loro ricordo noi continueremo ad attuare la via indicata dal nostro Nardo Caprioli: "Aiutare i vivi ricordando i morti" per apportare un contributo alla nostra società che mai come ora ha bisogno di speranza e umanità».
«Aveva lasciato la sua Calabria molti anni fa, nella prima metà degli anni Settanta, e aveva affondato le sue radici in Bergamasca, a Torre Boldone. Aveva saputo conquistare l'affetto dei suoi nuovi compaesani a cui ha fatto conoscere un piatto che all'epoca non era diffuso nelle nostre zone: la pizza. Nel suo ristorante il cliente si è sempre sentito coccolato da lui e dalla sua famiglia. Qualcuno, venendo a conoscenza della morte di Pepè, ha commentato: "In Paradiso avranno di che leccarsi le dita"».
«"Ciao mama, só Fiorenso, ma rèconosèt?". "Fiorenso... Ol me tus?". "Se, mama, a so me!". "Ma darèsèt mia ö falì de acqua?".
Non solo bevesti mezzo bicchiere d'acqua, ma ti sforzasti anche di mangiare due crackers. Per poi chiedere: "Me, öleres saí quando la sa fenírà". "Presto mamma... Presto... Adesso mangia, mamma, ci vediamo domani".
Non ci vedemmo più. Mia mamma spirò in un anonimo letto, nel reparto di medicina, terzo piano, dell'ospedale di Alzano Lombardo. Era vecchia, la mia mamma, tanto che i problemi neppure si contavano, ma morire così, in un anonimo letto d'ospedale, senza una persona cara che ti possa stringere la mano e poi chiudere gli occhi, non appartiene alla cultura e agli insegnamenti ricevuti».