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L'affondamento dell'"Arandora Star", 80 anni fa

La grande nave grigia riempie la visuale del periscopio, alle prime luci dell'alba del 2 luglio 1940. Sta procedendo a zig zag, alla velocità di 15 nodi, per disorientare i sottomarini. «Fuori uno!», ordina il capitano di corvetta Günther Prien , uno degli assi tra i sommergibilisti tedeschi, comandante dell' U-Boot U-47. La nave è colpita a morte all'altezza delle caldaie. Dopo 35 minuti dall'attacco la poppa affonda. I naufraghi vedono la prua che si erge verticale sull'acqua, poi la nave scivola sotto la superficie. Con lei moriranno 805 persone : tra essi 446 italiani, vittime dell'affondamento del piroscafo Arandora Star .

Perché così tanti italiani sono a bordo di una nave affondata ottant'anni fa da un sottomarino tedesco? Allo scoppio della Seconda guerra mondiale erano molti gli italiani e tedeschi che vivevano in Gran Bretagna . In prevalenza si trattava di persone che si erano trasferite all'estero per lavoro, ma c'erano anche esuli politici ed ebrei che erano scappati dalla Germania: addirittura c'era gente i cui figli militavano nell'esercito britannico. Pochi avevano simpatie per il nazifascismo.

L'Arandora Star, all'epoca in cui era una lussuosa nave da crociera

Ma quelli erano i tempi in cui si temeva da una settimana all'altra l'invasione dell'Inghilterra da parte dei tedeschi: gli inglesi non volevano trovarsi in casa potenziali alleati degli invasori, né eventuali spie.

Fu così che i maschi stranieri e anche qualche prigioniero di guerra vennero internati in grandi campi di detenzione. A molti vennero confiscate le proprietà: ai loro famigliari, mogli e figli, non fu data nessuna spiegazione.

A un certo punto venne deciso che gli internati avrebbero dovuto lasciare l'Inghilterra. Ed è qui che entra in scena la nave Arandora Star.

Era stata varata nel 1927 come nave da crociera , col nome originario di Arandora. All'inizio fa rotta tra Londra e la costa est del Sudamerica. Ma poi torna in cantiere per essere trasformata in nave di lusso e, in quel frangente, cambia il nome: diventa Arandora Star, in modo da non essere confusa con le navi postali della Royal Mail i cui nomi, tipicamente, iniziavano e finivano per "a". Con la carena bianca e i fumaioli rossi con la stella azzurra della compagnia armatrice Blue Star viene soprannominata scatola di cioccolatini oppure torta da matrimonio .

La nave fu destinata all'uso militare, e venne impegnata in alcune missioni

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale la nave è requisita dall' Ammiragliato : ha vari impieghi, tra cui l'evacuazione di truppe alleate dall'Europa invasa dai nazisti.

Quando si decide di adattarla al trasporto di internati la nave è interamente dipinta di grigio. E su di essa, nel porto di Liverpool, il 1° luglio si imbarcano 1513 uomini : internati civili tra i 16 e i 75 anni (734 italiani, 479 tedeschi), e 86 prigionieri di guerra destinati a essere trasferiti in Canada; 174 gli uomini d'equipaggio, e 200 guardie.

La nave è sovraffollata: gli internati vengono sistemati anche nella sala da ballo. Al timone c'è il capitano Edgar Wallace Moulton , che fa rotta verso la costa nord-ovest dell'Irlanda.

Ma in agguato c'è l'U-47, comandato da Gunther Prien: quando fu affondato dal cacciatorpediniere britannico Wolverine , il 7 marzo 1941, il sommergibilista aveva all'attivo l'affondamento di 30 navi nemiche, per un tonnellaggio complessivo di 193.808 t. Tra esse anche la corazzata Royal Oak , che Prien aveva affondato penetrando nella base navale britannica di Scapa Flow .

Nella chiesa di St. Peter, a Londra, una lapide ricorda le vittime dell'affondamento

L'Arandora Star viene scambiata per un mercantile armato: colpita a morte lancia il SOS e cala le scialuppe di salvataggio, troppo poche per così tanta gente. Quando sul posto arriva l'incrociatore canadese St. Laurent è possibile salvare solo 586 persone.

Tra gli scomparsi ci sono il capitano Moulton, e il capitano tedesco Otto Burnfeid , uno dei prigionieri, che eroicamente restano a bordo per organizzare l'evacuazione. Muore anche più di metà degli italiani. Dal dopoguerra a oggi i famigliari delle vittime non hanno mai ricevuto scuse ufficiali né risarcimenti da parte del governo britannico. Resta il ricordo, come quello dei monumenti oppure della lapide nella chiesa italiana di St. Peter, a Londra.