Fino all’inizio del secolo scorso molti pittori hanno impiegato per le loro tavolozze anche il bruno di mummia , un colore ricavato anche da resti umani mummificati .
All’argomento la rivista National Geographic Italia dedica un interessante articolo di Kristin Romney, che si apre con un accenno a una tela tra le più note tra quelle esposte al museo parigino del Louvre.
Il più famoso dipinto di Eugene Delacroix, La Libertà che guida il popolo, potrebbe infatti essere stato realizzato anche impiegando cadaveri .
Tra il Cinquecento e l’inizio del secolo scorso, infatti, era in vendita un pigmento composto da pece, mirra e resti macinati di mummie umane o di gatto: era conosciuto come bruno di mummia, e ampiamente impiegato per la sua tonalità intensa e trasparente.
Si può così affermare che un numero indefinito di antichi Egizi è oggi esposto in musei di tutto il mondo non con i paramenti funerari previsti da una religione che aveva una precisa e complessa idea dell’aldilà, bensì come componente di prestigiose opere d’arte.
L’uso delle mummie nell’arte probabilmente deriva da un loro impiego ancora più strano. Fin dal primo Medioevo, in Europa si usavano rimedi in cui compariva il preparato di mummia, da ingerire o impiegare per uso esterno. Servivano a curare un’ampia varietà di disturbi, non si sa se perché alle mummie erano attribuiti poteri paranormali o se, sbagliando, si pensava che contenessero bitume (che, in arabo, non a caso si chiama mummiya).
Man mano che la medicina compì passi avanti, l’uso di improbabili rimedi andò esaurendosi. Quando però tra il 1798 e il 1801 Napoleone conquistò l’Egitto , in Europa approdò un gran numero di mummie, solo in parte destinate ai musei.
Per le altre ci furono usi improbabili, dalla costruzione di false reliquie al fertilizzante (a questo scopo si usavano in particolare quelle di gatto, le cui mummie sono state rinvenute a centinaia di migliaia).
E’ possibile definire quali quadri sono stati dipinti usando il “bruno di mummia”? Anche avvalendosi di strumenti scientifici raffinati è estremamente difficile compiere questa verifica. Una delle ragioni sta nel fatto che le poche ricette di preparazione del colore che sono state tramandate sono molto diverse da loro: alcune prevedono l’impiego del corpo intero, altre solo di alcune parti. Inoltre anche le tecniche di mummificazione cambiarono nel tempo, con l’impiego di sostanze differenti.
“Tutti i prodotti che potrebbero essere state usati per l'imbalsamazione e il bendaggio sono stati comunemente impiegati dagli artisti come vernici, leganti per i pigmenti o additivi, per cui è difficilissimo capire se la presenza di qualcuno di essi su un dipinto dipende dal bruno di mummia - spiega Barbara Berrie, capo della ricerca scientifica alla National Gallery of Art di Washington - Molto probabilmente le caratteristiche molecole che identificherebbero ingredienti derivati dai mammiferi sono presenti in quantità minime”.