Un consiglio a chi è impressionabile : non varchi quella soglia. Perché la chiesa di Santa Maria dell'orazione e della Morte promette ciò che c'è scritto nell'intitolazione: da qualunque parte ci si volti l'immagine della Morte è presente.
Siamo a Roma : nel rione Regola, in via Giulia tra l'arco Farnese e il vicino Palazzo Falconeri, c'è una chiesa che fu eretta nel 1573 e poi ricostruita e ampliata nel 1737, su disegni dell'architetto Ferdinando Fuga .
E' la sede dell' arciconfraternita dell'orazione e Morte, che come scopo aveva quello di dare cristiana sepolturaai morti senza nome, abbandonati nella campagna oppure affogati nel Tevere. Oltre alla chiesa furono anche costruiti un oratorio e un ampio cimitero , in parte sotterraneo e in parte sulle sponde del Tevere. Questo cimitero fu quasi completamente distrutto nel 1886, quando le rive del fiume vennero delimitate da grandi muraglioni.
La facciata è di quelle che non lasciano dubbi. Crani sulle colonne (dove nelle altre chiese si trovano teste d'angioletto), una clessidra con le ali (il tempo che fugge) sulla porta d'ingresso e, ai lati, sormontate da scheletri, le fessure dove deporre "elemosine per i poveri morti che si pigliano in campagna" e "elemosina per la lampada perpetua del cemeterio".
L'interno della chiesa è a pianta ovale, e contiene alcune tele pregevoli: tra essi la "Crocifissione" di Ciro Ferri e una copia del "San Michele arcangelo" di Guido Reni.
Di particolare interesse è però la cripta , in passato usata come cimitero della confraternita: tra il 1552 e il 1896 vi furono inumate oltre 8000 salme . Oggi è un ossario, dove tutto, dalle decorazioni ai lampadari o alle sculture, è fatto con ossa e scheletri.
La confraternita che ha sede nella chiesa sorse in un'epoca in cui non esisteva un servizio pubblico per la inumazione delle salme. E' per questo motivo che «nell'anno del Signore 1538 alcuni devoti cristiani, vedendo che molti poveri, li quali o per la loro povertà, overo per la lontananza del luogo dove morivano, il più delle volte non erano sepolti in luogo sacro, overo restavano senza sepoltura, e forse cibo di animali, mossi da zelo di carità e pietà instituirono in Roma una compagnia sotto il titolo della Morte, la quale per particolare instituto facesse quest'opera di misericordia».
Nel 1552 papa Giulio III approvò la Confraternita, le concesse numerose indulgenze e la obbligò a prendere il titolo "dell'orazione", in aggiunta a quello "della Morte", perché oltre a seppellire i cadaveri, vi era l'uso di pregare per la loro anima e di esporre il Sacramento sotto forma di "Quarant'ore" ogni terza domenica del mese.
Lo spirito di sacrificio dei confratelli non conosceva limiti: quando un "morto di campagna" rimaneva insepolto si avvisava subito la confraternita, che mandava sul posto un cappellano e alcuni confratelli. Scrive Luigi Huetter: «Ovunque un cadavere giacesse insepolto, in fondo a un procoio, a una marrana, respinto dal Tevere o dal mare, crivellato di ferite in un bosco, giungevano spesso dopo un viaggio di decine e decine di chilometri gli zelanti fratelli della morte».
Per la sua opera di cristiana pietà la confraternita aveva anche una prerogativa: quella di liberare ogni anno un condannato a morte o alle galere. Il primo di essi, Giuliano Ricci colpevole di assassinio, venne liberato il 3 giugno 1584. Con un succedersi di dinieghi e permessi, dovuti alle alternanze di costumi e dei vari pontefici, questa pratica giunse fino al diciannovesimo secolo: l'ultima grazia fu ottenuta l'8 settembre 1867.