Ai tempi dei bisavi le malattie non avevano tutte un nome ed anche per un raffreddore si poteva morire.
Non si cercava per forza una spiegazione logica o scientifica: Dio decideva di prendere qualcuno con sé e ciò si accettava, che di bambino o adulto si trattasse.
Nel caso di morti inaspettate e veloci, si diceva semplicemente che quella persona era morta improvvisamente e ciò veniva accettato.
In Sardegna a Villagrande, se il morto era sposato, doveva indossare per il suo ultimo viaggio l’abito del matrimonio. Il passaggio dalla vita terrena a quella celeste era considerato, così come la vita coniugale, un inizio. Il defunto veniva adagiato sul letto, sopra una pelle di pecora per il periodo della veglia funebre. La moglie e altre donne della famiglia cantavano in sardo ricordando la sua vita.
Per proseguire con le curiosità sulle antiche usanze, occorre ricordare che le bare non si usavano, né tantomeno i carri funebri. Il defunto veniva posto su una barella e portato appoggiandola sulle spalle fino al luogo della sepoltura. Nel tragitto famigliari, amici e persone del paese, intonavano canti in suo onore che si alternavano a pianti a voce alta. Non c’erano neppure le tombe in cemento o in marmo; il corpo veniva riconsegnato alla terra adagiato nella barella che veniva calata in una fossa. Ognuno dei presenti buttava un po’ di terra sul corpo del proprio caro. Il rituale terminava ponendo una croce di legno sul mucchio di terra sulla quale venivano scritti nome, data di nascita e data di morte.